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lunedì 25 novembre 2019

QUANDO LE STATUE SOGNANO - Museo Salinas Palermo


Museo Salinas
QUANDO LE STATUE SOGNANO

frammenti da un museo in transito Gli artisti 108/Guido Bisagni, Alessandro Roma e Fabio Sandri, con la partecipazione di Ferdinando Scianna, in dialogo con spazi e depositi del Museo Archeologico Salinas, il più antico museo della Sicilia Con un intervento della fotografa Roselena Ramistella nella nuova Project Room Un progetto espositivo a cura di Caterina Greco e Helga Marsala

dal 29 novembre 2019

Museo Salinas, Palermo 28 novembre 2019
ore 10 anteprima e incontro con la stampa 2
8 novembre 2019 ore 19 concerto inaugurale con:
ORNELLA CERNIGLIA (pianoforte)
FLORIANA FRANCHINA (flauto)
108 (electronics)

apertura straordinaria del museo fino alle 23 Dalle metope dei Templi di Selinunte – il più importante complesso scultoreo dell’arte greca d'Occidente – alla Pietra di Palermo, reperto egizio risalente alla metà del II Millennio a.C. circa, dalle raccolte di vasi etruschi della Collezione Bonci Casuccini all’Ariete bronzeo di Siracusa, il Museo Salinas di Palermo, con la sua storia lunga oltre due secoli, raccoglie una delle collezioni archeologiche più prestigiose in Italia e nel mondo. Dal 28 novembre 2019, grazie alla mostra in due capitoli QUANDO LE STATUE SOGNANO – curata da Caterina Greco, Direttrice del Museo, e Helga Marsala - e a una serie di prossimi eventi collaterali, racchiusi dal sottotitolo Frammenti di un museo in transito, vengono temporaneamente restituiti al pubblico alcuni spazi di questo luogo straordinario, che riapriranno definitivamente solo al termine dei complessi lavori di restauro e riallestimento, in via di completamento. Ed è proprio tra i depositi, i corridoi disabitati e le sale vuote che i progetti per la mostra hanno preso forma: luoghi precipitati in un silenzio onirico, per l’occasione tramutati in set e serbatoi di suggestioni per produzioni contemporanee, in dialogo con opere e reperti archeologici. Un programma che si estenderà nel corso dei prossimi mesi, pensato per trasformare l’attesa in nuovo contenuto: il tempo che separa dall’apertura degli ultimi due piani del Museo diventa occasione di scoperta, disvelamento, ricerca e comunicazione. E a proposito di comunicazione, da costruire intorno a spazi e reperti riportati a galla, il “Salinas” ha scelto di affidare a un artista il ruolo di art director. Attivo soprattutto nel campo dell’arte pubblica e dell’arte urbana, ma con una ricerca parallela legata al graphic design, Mimmo Rubino (Potenza, 1979. Vive a Roma), noto anche come Rub Kandy, ha ideato la campagna creativa per la promozione delle mostre: agli scatti fotografici, i manifesti, l’immagine coordinata e le pubblicazioni editoriali diventano, con la sua cifra personale, un’avventura concettuale e di stile, concepita come opera d’arte in progress.

GLI ARTISTI Il percorso si apre con una preziosa serie di scatti di Ferdinando Scianna (Bagheria, Palermo, 1943). Le fotografie, realizzate dal maestro siciliano proprio al Salinas, nel 1984, ritraggono Jorge Luis Borges, anziano e già cieco, mentre sfiora alcune statue della collezione, nel tentativo di “vederle” con le mani. Un dialogo intimo tra il grande poeta – che sulla dimensione del sogno e la condizione del buio scrisse pagine memorabili - e i corpi marmorei ospitati tra le sale del museo: una muta conversazione, un ideale “reciproco ascolto”, di cui Scianna colse le intensità e i movimenti, nel buio di un’invisibilità tramutata in visione interiore. Lungo il percorso si alternano poi le opere contemporanee di Alessandro Roma (Milano, 1977), 108/Guido Bisagni (Alessandria, 1978) e Fabio Sandri (Valdagno, Vi, 1964), in dialogo con alcuni reperti delle collezioni archeologiche: tutti materiali recuperati, riscoperti e individuati dai curatori, in accordo con gli stessi artisti. Una selezione che si concentra sull’antica Roma e sull’eredità della cultura greca, in un susseguirsi di corsi e ricorsi, temi, opere, mutamenti e assonanze, che riflettono il complesso processo di formazione del moderno Museo. In mostra sono inoltre già presenti due importanti anteprime del futuro allestimento: nella Stanza del Mosaico la straordinaria Menade Farnese, esposta in rare occasioni – inclusa una recente mostra al Museo Salinas -, valorizzata qui da una collocazione dal forte impatto visivo, mentre nel prolungamento della Sala Ipostila sarà visibile il maestoso Ariete bronzeo da Siracusa, donato al museo dal Re Vittorio Emanuele II. Felice debutto, invece, per le teste votive di Cales, da un’affascinante serie di ex voto in terracotta (IV-II secolo a.C): acquisite a metà Ottocento dal Museo della Regia Università di Palermo, non erano mai state esposte tra le sale del Museo.




Sul lavoro di 
108/GUIDO BISAGNI
Testo di Helga Marsala
Cupo, denso, radicale, il linguaggio di 108 (all’anagrafe Guido Bisagni) si nutre di astrazioni granitiche, di suggestioni noise e dark, di ispirazioni post-industrial e post-graffiti. Parallela all’attività pittorica, condotta tra i muri e i musei di molte città internazionali, c’è la sua produzione musicale: più intima, legata a un ambito underground, conta decine di brani raccolti spesso in preziose edizioni d’artista serigrafate o confezionate a mano.

Per il Salinas Bisagni ha costruito una partitura, dedicata a spazi, temi, collezioni del Museo, attraversando anche le aree ancora non accessibili al pubblico. L’opera è stata scomposta in 4 parti e spazializzata tra 4 zone del percorso espositivo: muovendosi tra le sale, lo spettatore mescolerà in modo autonomo, incerto e mutevole le varie sollecitazioni uditive: la pasta sonora percepita sarà sempre diversa e discontinua. Un’audiocassetta in edizione limitata, pensata come reperto di archeologia del suono, contiene la registrazione del brano originale.
Riconoscibili sono i
field recordings (‘registrazioni sul campo’) catturati a settembre 2019 nel bosco di Minnewaska, una riserva indiana sulla spettacolare Shawangunk Mountain, nella Contea di Ulster, a un’ora e mezza di auto da New York: la voce dei ruscelli, degli insetti e degli animali selvatici, processata e modificata elettronicamente, evoca quella natura arcaica e incontaminata di cui sono pregni i racconti mitologici, le gesta di divinità ed eroi classici, i riti estatici e le liturgie occulte consumate tra le foreste dalle Menadi e dei Satiri, nel nome di Pan e Dioniso.

Si sovrappongono quindi sussurri e bisbigli, tappeti fluidi e sonorità oniriche, idealmente sottratti a quei corridoi segreti del Museo in cui le sculture - protagoniste del racconto espositivo - risiedono da anni, in attesa della loro definitiva collocazione. Quella di 108 è allora la colonna sonora di un tempo sospeso e di uno spazio dilatato, nel vivo di un incantesimo notturno. Le statue ‘dormienti’ ne sono interpreti mute ma non inerti, cieche e perciò veggenti: sprofondate in un magma di rimembranze e allucinazioni.


Sono imbevuti di atmosfere metropolitane e underground, i murales e le tele di 108. Ma si portano dietro anche l’impronta di un’originaria passione per le avanguardie storiche: dall’astrazione armonica di Kandinskij, tra suono, linea e colore, al grado zero del Suprematismo di Malevic; dall’Arte dei Rumori del futurista Luigi Russolo al Surrealismo organico di Hans Arp. Con questo bagaglio 108 ha conquistato un posto d’onore sulla scena internazionale del muralismo post-graffiti, dipingendo in particolare fra aree industriali abbandonate: è stato uno dei primi ad aver portato nello spazio pubblico la pittura non figurativa, con l'intento di creare “caos visivo”.
Elementi costitutivi di questo caos sono le grandi macchie nere spalmate sulle superfici: forme organiche o organismi informi, appaiono come segni di una scrittura primordiale, reperti di un’archeologia del linguaggio e dell’immagine. E assomigliano a massi, monoliti pesanti, concentrazioni plumbee, ma anche a qualcosa d’immateriale: ombre, specchi d’acqua nera, porzioni di cielo notturno, il lato oscuro delle Idee e il timbro cavernoso della natura.

Le due tele concepite per il Museo Salinas si ispirano al regale Ariete bronzeo, un tempo posto a ornamento della reggia di Agatocle, a Siracusa, a cui era accostato un Ariete gemello, dal vello più chiaro, col corpo orientato dinamicamente in direzione opposta: la guache di Jean-Pierre Houël, contenuta nel suo libro
Voyage Pittoresque (1777), è l’unica testimonianza superstite dell’originario dittico. 108 lavora sul concetto di doppio, tra l’elemento fortemente simbolico delle corna spiralidee e le masse bronzee contrapposte. E così il processo creativo si nutre della tensione tra opposti, tramutando la forma dell’animale e la potenza della sua rappresentazione scultorea in esercizio di astrazione pura: cromatica, plastica, timbrica, geometrica, concettuale. Fra musica e pittura, reminiscenze pagane, matematica e filosofia.

Il primo libro d’artista di 108 è stato progettato per l’Ariete bronzeo del III sec. a.C. - attribuito alla cerchia dello scultore Lisippo -, uno dei pezzi più pregiati del Museo, in attesa di essere ricollocato nel nuovo assetto delle collezioni.
Rilegato a mano e pensato come uno scrigno ligneo, il volume è composto da 60 lavori a inchiostro su carta. “L’Ariete è simbolo divino del Mediterraneo e dell'Europa antica”, racconta l’artista, “con le corna che si legano a Dioniso e a Pan, quindi alla spiritualità più istintiva e misteriosa. Ai Misteri orfici, ad esempio. Nella mia ricerca la storia antica, la mitologia e l'antopologia culturale hanno un posto che probabilmente supera persino quello della storia dell'arte. Motivo per cui l'arte è per me indivisibile dallo spirito e dai suoi rituali. Realizzare una serie di pitture come quelle conservate nel libro per il Salinas è per me qualcosa che si avvicina molto a un rituale misterico”.

La successione di forme nere, dense, massicce, è allora una reinvenzione grafica della raffinata scultura bronzea. Un processo ipnotico d’astrazione, una litania magica, un loop pittorico animato da micro differenze formali. L’Ariete, pagina dopo pagina, diventa ombra, memoria, segno elementare, molecola pesante in trasformazione.
C’era un tempo un secondo Ariete, bianco, affiancato a questo scuro che è sopravvissuto. Un doppio uguale e contrario, andato distrutto. E arriviamo a un altro elemento fondamentale nel mio lavoro: il contrasto, il conflitto, la ricerca di un equilibrio tra gli opposti”. Il fantasma dell’altro Ariete sopravvive nel libro unicamente come ricordo: la sequenza ossessiva di macchie cupe esclude la parte chiara, se non in forma di residuo. Solo attraverso le pieghe dei fogli, che la complessa lavorazione pittorica ha lasciato in evidenza, il bianco di fondo emerge, resiste, indicando un necessario contrappeso. L’altrove, irrinunciabile.